| Messe a Tre, Quattro, e Cinque Voci. Di Francesco Foggia Romano. Maestro di Cappella dell'insigne Basilica in S. Lorenzo, e Damaso. Opera Decimaquinta. Dedicata all'Eminentissimo Prencipe il Sig. Cardinale Landgravio d'Hassia vescovo d' Vratislavia etc. - In Roma, Nella Stamperia di Gio: Angelo Mutij. 1672. A spese di Federico Franzini Libraro all'Insegna della Fonte. - in 4.° {Canto primo, Canto secondo, Alto, Tenore, Basso, e Organo. In tutto libretti sei.} (Nella seconda carta trovasi impresso quanto segue):
Eminentissimo Prencipe
Nel presentare al merito incomparabile dell' Eminenza vostra questi miei componimenti musicali, non tanto ho preteso di far noto al mondo il mio particolar debito, et ossequio, mentre ho meritato di seruire l' Eminenza Vostra nelle Chiese de' suoi titoli; ma ancora di rinouare la memoria dell'antica seruitù hauuta con l'Altezza Serenissima di Lodovico suo gloriosissimo Padre quando nell' età mia giouenile hebbi fortuna di servire la fel. mem. del Serenissimo Prencipe Ferdinando Elettor di Colonia. Con questo doppio titolo d' obligatione, e di seruitù spero, che debba esser scusata la mia temerità nel comparire auanti ad vn Prencipe di tanto merito con vn dono sì tenue; et insieme ammirato l' affetto d' una sincera obligatione. Supplico pertanto l' innata benignità sua a riceuer ciò con altrettanto gradimento con quanta deuotione, et humiltà lo presento.
Roma li 16 Aprile 1672.
Di Vostra Eminenza Deuotissimo, et obligatissimo seruidore FRANCESCO FOGGIA.
A tergo poi della dedicatoria:
«L' Opera al Lettore.
Eccomi alla luce delle stampe amico lettore; ne per altro gemei poc'anzi sotto il Torchio, che per comparire oggetto di tue saggie papille. S' io sia ansiosa di sodisfarti, e compiacerti, ben scorgere lo potrai da quei sospiri, ch' ho sparsi à cento, a cento in queste carte. Non m'è nuouo, ch'hoggi dì ad altro non serue il foglio diretto al Lettore, che per annidare sotto il verde di poche frasi gl' angui de' liuori, il veleno dell'odio, e dell'inuidia; è però questo vn così detestabile abuso, ch' obliga a condannare comunemente la critica della maledicenza, per vna giouanile carriera mossa dalla souerchia ambitione di coloro che con quel microscopio riguardano li proprij parti, il di cui cristallo lauorato dalla propria passione fà che le loro farfalle le paiono Aquile, et ogni punto vn' Olimpo. Trauedono però; poichè chi sprezza l' opre altrui acciecato dalla gran stima delle proprie, è come quel tale, che scorgendo da lontano vn gran fumo lo giudica effetto dell'Ethna, o dell' Vesuuio, mà poi coll' auuicinarsi si disinganna, e conosce essere stato fuoco di poca paglia. Per ben giudicare quanto pesino i sudori de gl' altri, e d' vopo, il deporre la grande stima de' proprij, oltre, che si rende fauola del volgo, chi altrettanto si stima, quanto da gl' altri è poco apprezzato; ond'io per non incorrere questa taccia, taccio, e senza dirti ch' in me ritrouarai soggetti varij, inuentioni pellegrine, modulationi diuerse, contraponti doppij, riuolti canoni, legature d'ogni sorte, e studio profondo, ti prego à leggere, osseruarmi, riflettermi, e compatirmi. Viui felice» .
Questo bizzarro discorso potrebbe far sospettare che qualche giovane compositore per innalzar se stesso denigrasse la fama del Foggia.
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Digitale:
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