strumento
Frédéric Triebert, Fagotto (16 chiavi), Parigi, circa 1870
inventario
1819
rif. Catalogo van der Meer
n. 049 (=p. 58)
collocazione
MdM
 
Marchio sul retro del pezzo dell'esse subito sotto la ghiera superiore, sul davanti della culatta sopra il foro IV e sulla campana: torre con tre merli / TRIEBERT / A PARIS.
Materiali: palissandro, alpacca, corno.
In quattro pezzi, più l'esse. La campana è tornita esternamente con rigonfiamenti e con un allargamento in forma di anello intorno all'uscita. Tutti i tenoni erano coperti in origine di sughero, di cui ci sono ancora tracce. Ora sono avvolti di filo. Ci sono ghiere d'alpacca intorno all'ingresso, alle due estremità della culatta e all'estremità inferiore della campana, e c'è una ghiera stretta intorno all'uscita. Il fondo della culatta è coperto da un piatto d'alpacca con due viti paraurti. Sulla ghiera all'estremità superiore della culatta c'è un anello in un occhiello, entrambi di alpacca, per agganciare l'uncino e così appendere lo strumento durante l'uso. I fori I e IV sono obliqui verso l'ingresso, i fori II - III e V - VI obliqui verso il fondo della culatta. La cameratura è nella maggior parte conica, ma è quasi cilindrica nella campana con un trombino all'uscita.
Chiavi:
sulla campana di dietro:
Si0 (chiusa, con una leva lunga per il pollice sinistro; la paletta chiude al tempo stesso quella di Sib0);
sul pezzo lungo davanti:
Do#1 (chiusa, per il mignolo sinistro);
sul pezzo lungo sul retro:
Sib0 (aperta, per il pollice sinistro; chiudendo questa chiave, si chiude automaticamente Do1);
Do1 (chiave come leva a un braccio, aperta, per il pollice sinistro; chiudendo questa chiave, si chiude automaticamente Re1);
Mib1 (chiusa, per il pollice sinistro);
Re1 (aperta, per il pollice sinistro);
sulla culatta davanti:
Fa1 (aperta, per il mignolo destro);
Sol#1 (chiusa, per il mignolo destro, con una leva ausiliare per il pollice destro sul retro);
Sib1 (chiusa, per l'anulare destro);
sulla culatta sul retro:
Fa#1 (chiusa, per il pollice destro);
Do#2 (chiusa, per il pollice destro; con una leva ausiliare per l'indice destro davanti);
sul pezzo dell'esse davanti:
Do#2 (chiusa, per l'anulare sinistro);
Mib3 (chiusa, per il medio sinistro);
sul pezzo dell'esse sul retro:
Fa#2 (chiusa, per il pollice sinistro, per il trillo Mi-Fa#);
La3 (primo portavoce, chiuso, per il pollice sinistro);
Do4 (secondo portavoce, chiuso, per il pollice sinistro);
il terzo portavoce (col foro nell'esse, chiuso, da aprire automaticamente aprendo Fa#2 o uno degli altri portavoce).
Le chiavi sono di alpacca. Hanno piattini emisferici con cuscinetti. Le chiavi hanno supporti in colonnini. Ci sono selle conduttrici per le leve delle chiavi Si0, Do#1 (due selle), Fa#1, Sol#1, Fa#2, Sol2 e La3. Le molle sono di acciaio, in parte strisce, in parte fili. Le palette delle chiavi Fa2-Sol#2 e di Fa#2-Sol2 hanno cilindri girevoli di corno. La chiave Sib1 sulla culatta in origine aveva un foro più in basso verso la ghiera all'estremità inferiore della culatta; questo foro è stato tappato, il foro attuale si trova più in alto, la leva della chiave attuale è dunque più corta di quella originale. C'è un paracoscia di alpacca per la chiave Re1. Ci sono due esse di alpacca, uno probabilmente originale con tre traforazioni per il terzo portavoce, uno di data più recente con una unica traforazione. 
Misure: ingombro 1315; lunghezza del tubo senza esse 2223; lunghezza del pezzo dell'esse 451; lunghezza del tenone del pezzo dell'esse 42; lunghezza esterna della culatta 439; lunghezza del tubo nella culatta 870; lunghezza del pezzo lungo 511; lunghezza del tenone inferiore del pezzo lungo 46; lunghezza del tenone superiore del pezzo lungo 39; lunghezza della campana 361; distanza tra l'ingresso (senza esse) e I 233, II 276, III 314, IV 567, V 606, VI 647; diametro esterno all'estremità superiore del pezzo dell'esse sotto la ghiera 25, della sporgenza del pezzo dell’esse 46,8, all’estremità inferiore del pezzo dell'esse 29,2, del tenone del pezzo dell'esse 23, all'estremità superiore della culatta 65,6 x 48,8, all'estremità inferiore della culatta 53,9 x 45,1, del pezzo lungo 38-45,3, del tenone inferiore del pezzo lungo 30, del tenone superiore del pezzo lungo 38,1, della campana 45,1 - 46,1 - 40, all'uscita 92 x 93; diametro della cameratura all'ingresso 15,8, al punto più stretto 14, nel tenone del pezzo dell'esse 15,6, nel tenone inferiore del pezzo lungo 23,6, nel tenone superiore del pezzo lungo 32,2, all'uscita 92; esse originale lunghezza 303, diametro 3,8 - 8,7; esse non originale lunghezza 299, diametro 3,9 - 8,5.
Fondamentale: Sib0 con corista di La3 = 440 Hz.
Astuccio: Col fagotto è conservato un astuccio coperto di cuoio scuro, con una fodera di velluto rosso, e con una maniglia di ottone. Nell'astuccio sono conservati, oltre al fagotto, ghiere protettrici di alpacca per i tre tenoni, alcuni cuscinetti, una corda, un'ancia doppia, una chiave di ferro per l'astuccio, e una foto del prof. Luigi Orioli.
Provenienza: il fagotto apparteneva al prof. Luigi Orioli, docente al Liceo Musicale dall'ottobre 1884 sino alla fine del 1916. Lo strumento fu un dono dei figli Giuseppe Orioli e Albertina Maioli.
Cenno biografico: Wilhelm Triebert, o, come si chiamava più tardi, Guillaume Triebert nacque nel 1770 in una cittadina dell'Assia. Da giovane andò (secondo la tradizione a piedi) a Parigi, dove lavorò prima da ebanista, poi da costruttore di strumenti a fiato in legno. Nel 1810 fu "maître-facteur", nel 1811 gli fu accordata la cittadinanza francese. Morì nel 1848.
Dei suoi due figli fu Frédéric a continuare l'attività del padre. Nacque nel 1813, fu un ottimo oboista, e nel 1846 entrò nella fabbrica di Guillaume, che continuò a gestire dalla morte del padre sino alla propria morte, nel 1878.
I Triebert padre e figlio svilupparono l'oboe in sei stadi, di cui l'ultimo è lo strumento attuale (système Conservatoire). Frédéric tentò inoltre di applicare il sistema Böhm all'oboe, il che ebbe un successo passeggero in Francia. Padre e figlio apportarono anche piccole innovazioni al fagotto francese. 
 
Documenti:
Relazione di restauro (R. Weber, 1989)

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